Mediterranea
A Journal of Cultural Anthropology and Ethnomusicology
( 2 /2018)
Monumenta
Dotium
Semiticarum
The Book
of Jeremiah
Jeremiah 7:23-28.
Studi preliminari
E.W. THOMPSON, The Book of Jeremiah, (NICOT), Grand Rapids 1980; J.BRIGHT, Jeremiah (AB. 21), New York 1965; E.W.NICHOLSON, Jeremiah 1-25 (CBC) Cambridge 1973; VOLZ P.,False prophets, in Enciclopaedia Biblica III, London 1902, 3874; KONIG E., On the Meaning and Scope of Jeremiah 7.22-23, in “ The Expositor” 6 (1902) pp. 135-154; SCHEFFLER E., The holistic historical background against which Jeremiah 7,1-15, in “OTEssays” (1994) 381-395, STACHEL G., “Sta in porta domus Domini et loquere verbum”, die Predigt 19 Eckarts und der Spruch Jeremia 7,2, in “GeistL” (1990), 405-426, TOV E., Some aspects of the textual and Literary History of tha Book of Jeremias, in Aa.Vv, Le livres de Jérémie, BETL, LIV, Leuven 1981, S.E.BALENTINE,The prophet as Intercessor, A Reassement, in “JBL” 103 (1984), pp. 161-173, HOLLADY W.L.,The background of Jeremiah’s Self-Understanding, in “JBL” 83 (1964), pp. 153-164.
Articolo
on line
“NON PARLAI NE’ DIEDI COMANDI SULL’OLOCAUSTO E SUL SACRIFICIO AI VOSTRI PADRI”
Analisi del testo di Ger 7,23-28. Analisi antropologico-culturale della Mith and Ritual School
di Davide Polovineo
November 22 2016
1 Lineamenti introduttivi
I primi dieci capitoli del libro di Geremia si presentano con una costruzione estremamente articolata. La rassegna delle correnti stilistiche ci presentano una situazione civile e culturale appena abbozzata. Nicholson, nella sua ipotesi di studio su Geremia 1-10, presenta le affinità strutturali con i discorsi deuteronomistici (1):
a) Introduzione
b) annuncio del castigo
Il filone narrativo (Cfr. 2 Re 24,18-25; 1 Re 21,17-19; 2 Re 1,34; 1 Re 11,29-39; 2Re 13,14-19) si sviluppa su un’area che coincide in parte con quella oracolare e della cronaca; rappresenta cioè il passaggio più diretto dall’arte del vivere all’arte del narrare.
Una serie di oracoli sviluppa in continuazione con rigore formale e leggere varianti uno schema di legittimazione dell’autorità profetica ( 1,14-19)che condanna la situazione di prostituzione del popolo (2,2-3) con poemi epici (4,67; 4,13.15-17; 5,15-17)che criticano la società (5,26-31) e annunciano l’arrivo della carestia (5,20-25) e dei nemici (6,1).
Le energie combattive che reggevano e indirizzavano questo vivere erano, soprattutto, politiche; ed ecco il significato stilistico della polemica campanilistica, dalle forme immediate dell’improperium alle più riflesse e vistose conseguenze sul gusto già propenso alla parola scolpita, al motto tagliente. Il valore di simmetria e di forzata regolarità dei primi sei capitoli cede il posto nel capitolo settimo al ciclo cultuale. Nella linea dei primi capitoli c’è un riferimento esplicito a Gerusalemme, ma proprio da questo momento entrano nella lista degli imputati i sacerdoti; le guide spirituali del popolo sono chiamate in causa poiché non hanno avuto sapienza e hanno disprezzato la Legge (8,8-9;9,12-15.22-23).
La corruzione morale è descritta da due qinah (8,18.9,21) che annunciano l’imminente arrivo del nemico (8,14.16) e enfatizzano i sentimenti di panico del popolo (10,17-22). In realtà, il processo di assestamento, nella prosa, dei vari strati ideologici e delle varie tradizioni stilistiche, si svolgeva in presenza di un anteriore e più energico movimento di unificazione contenutistica e formale: la geremiana lingua poetica. Alla prosa competeva di esplicitare e diffondere i contenuti che la lirica, schiva per definizione, aveva in sé impliciti, e dibatteva in una cerchia di iniziati. Quel che mette conto di accertare nella stesura di Ger. 1-10 è la coerenza del suo tono, sia stilistico e sia umano. Il racconto, pur nel suo nudo linguaggio, ha un’architettura sicura e costante. La riprova di quanto s’è detto dinanzi, è data appunto dal riconoscimento d’una tonalità comune, che circola nella prosa e nella poesia. L’autore è uno scrittore, non un frettoloso e sprovveduto epitomatore. Nella scelta dei temi, nel loro gusto interno, nella padronanza con cui egli li ripensa e li ritraduce, si rivela vigile e produttiva la sua presenza e si riconosce la sua cifra. Geremia 1-10, in definitiva, è un’opera già matura e senescente, e niente affatto acerba e aurorale. La verità è che non appena ci si abitua a questo tipo di scrittura, o meglio, non appena se ne coglie il gusto, le altre risultano prolisse o prodigali (2) .
Uno dei principali ostacoli da superare per l’interpretazione geremiana del capitolo settimo è l’offuscamento della comprensione conseguente ai mutamenti linguistici e ai cambiamenti della concezione della vita (3). Ed ecco, già evidente, il problema antropologico culturale. L'ipotesi storico-genetica, secondo cui "il mito dipende dal rito" o, più ampiamente, i miti sono intimamente associati ai rituali, ove si tende chiaramente a privilegiare il rito nei confronti del mito, ha come esponente Robertson Smith (4) che con uno stile minuziosamente descrittivo e servendosi delle fonti monumentarie cuneiformi dei popoli degli assiri e babilonesi, delle fonti bibliche e delle fonti letterarie greche, affermò che presso i popoli semiti il legame di sangue era l’elemento costitutivo della creazione del clan, del sistema politico e del sistema cultuale: la stessa concezione di legame di sangue univa la divinità con il popolo per cui il sacrificio era necessariamente un atto di comunione con gli dei (5). L’autore prova ciò ponendo in sinossi i costumi degli arabi con il costume sacrificale semitico: sia l’uccisione del cammello presso gli arabi di cui parla Nilus,sia l’uccisione di un membro del clan, erano atti del clan, ossia richiedevano il consenso di tutto il clan.
Questi atti “scrupolosi”,secondo la definizione dell’autore, sono evidenti anche nei popoli semiti per i quali ogni uccisione avveniva solo per i riti sacrificali che erano una prassi che creava un “legame” di parentela sacrale con la vittima (6). Gli ebrei tuttavia si differenziavano dagli altri popoli semiti poiché la loro relazione con JHWH era di tipo etico (7). Zebah šelamim era la materia del sacrificio pubblico del clan e il valore profondo del sacrificio non consisteva nella morte della vittima ma nella comunione con la sua vita attraverso il pasto. Questa prassi delinea per Robertson Smith la comprensione del sacrificio come atto di comunione tra la comunità e il dio. All’interno di questa tesi Robertson Smith distingue (in un primo momento marginalmente e in seguito sistematicamente) tra il mangiare davanti a Dio e insieme al dio che implica una comunione non mistica o ‘convivio’, e un mangiare dio stesso che implica una comunione a livello mistico (communio).
Frazer (8) aveva avuto un’intuizione simile nel Ramo d’oro: infatti in Svezia la contadina impastava con il grano dell’ultimo covone un pane a forma di bambina. Tutti i membri della famiglia si cibavano poi di questo pane considerato lo spirito, il “dio del grano”.
Presso gli Ainu del Giappone ancora per testimonianza di Frazer era “scelto del miglio che poi era trasformato in pane” (9). Quel pane era pregato, adorato e alla fine era consumato come vera divinità. In base al repertorio di Frazer,Robertson Smith individua,pertanto, l’evoluzione del rituale del sacrificio di comunione in tre momenti:
A) L’Istituzione dell’olocausto, il sacrificio per i peccati in cui il sangue non era bevuto ma versato sull’altare, è l’indicatore di una frattura parenterale della dimensione conviviale tra animali/uomini/dei (10) .
B) Il sacrificio come dono fatto al dio. Questo implica il concetto di proprietà e quindi lo stato post-nomadico e la fase di sedentarizzazione (11).
C) La fase di spiritualizzazione del culto israelita. Questa pone la dimensione simbolica del sacrificio per cui il vero valore dell’offerta non consisteva nella prassi ma nell’omaggio del fedele (12).
In questa chiave di lettura l’opera geremiana con le sue particolarità costruttive, appare un punto di riferimento sicuro per lo studio sul sacrificio (13).
Dal punto di vista antropologico culturale di Robertson Smith la distanza storica diventa non pertinente, dato che la permanenza dell’opera nella sua totalità è incontestabile, e il tempo vi può incidere solo danneggiandone fisicamente i testimoni.
In tal senso proprio questa innovazione della Mith and Ritual School delinea una fase distruttiva che consiste nel riconoscimento che ogni discorso sull’opera è un allontanamento dall’opera, segni che proliferano l’uno sull’altro, con inarrestabile entropia (14). Si tratta di un’ermeneutica geremiana non referenziale e anti-oggetiva, un’ermeneutica dell’assenza, un’ermeneutica che scardina il rapporto tra significante e significato, su cui si basa ogni nostra possibilità di comprensione.
Si è verificato un rovesciamento nell’ordine degli oggetti di ricerca. Mentre l’ermeneutica della Mith and Ritual School poneva al centro dell’attenzione l‘opera, l’ermeneutica odierna assegna la funzione di arbitro al lettore o destinatario. Alla base del capovolgimento si pone forse una constatazione empirica ma importante, che essendo anche l’esegeta un lettore, egli conosce molto più sulla lettura che non sulla scrittura, sulla ricezione che non sull’emissione, sui significati che riesce a percepire che non su quelli impliciti nell’opera.
2 Analitica linguistico-antropologica
Aggiungete olocausti a sacrifici e mangiate pure la carne sacrificale (cfr. nota 15). In verità io non parlai ne’ diedi comandi sull’olocausto e sul sacrificio ai vostri padri [quando li feci uscire dall’Egitto] (cfr. nota 16). Questo fu la Parola che diedi loro, “Ascoltate la mia voce, Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo. Camminate sempre sulla strada che vi prescriverò perché siate felici”. Ma non ascoltarono né diedero retta [seguivano i loro piani] (cfr. nota 17), la malvagità del loro cuore ostinato [volgendomi le spalle e non il volto] (cfr. nota 18). Da quando i vostri padri uscirono dall’egitto fino ad oggi, Io inviai a voi i miei servitori i profeti con premura e sempre. Ma non mi ascoltarono, e non li ascoltarono né prestarono orecchio, resero dura la loro nuca divennero peggiori dei loro Padri. [Puoi ripetergli queste Parole, non ascolteranno. Puoi gridargli, non risponderanno (cfr. nota ]19). Puoi dirgli,“Ecco la gente che non ubbidì al JHWH, suo [Dio] (cfr. nota 20)”. Non vogliono correggersi la sincerità è [sparita] dalla loro bocca.
Dal grande discorso geremiano alle porte del tempio si inquadra la grande problematica di fondo che collega la polemica al sacrificio da parte del profeta a due grandi categorie veterotestamentarie che vengono rilette da Geremia: il profeta pone un’ambiguità metodologica, nella comprensione dell’associazione sacrificio*Alleanza che trova una possibile ricomprensione da parte di Geremia, soltanto sul piano etico.
Una trattazione della categoria berit e delle sue connessioni con il tema cultuale di rilevanza teologica nell’ambito dell’Antico Testamento potrebbe essere facilitata, ma nello stesso tempo condizionata ed impedita, da precomprensioni teologiche che, pur fondate sull’analisi dei testi, procedono da concezioni in qualche modo estrinseche dall’esegesi stessa. Le asserzioni che si ripetono in sede liturgica sul rapporto tra berit e sacrificio sono dovute anche, talvolta, a una divulgazione dei risultati conseguiti dagli studi biblici che non sono riusciti a risolvere adeguatamente il problema in questione, o per lo meno manifestano un disagio particolare nei suoi riguardi.
Per questo come pre-comprensione fondamentale nella lettura dell'associazione alleanza-rito si seguirà la prospettiva antropologica che tra l'altro ha avuto una grande ripercussione in ambito esegetico negli anni 40 e 60 dello scorso secolo. Tale operazione non deve sembrare soltanto la ripresa di una antica indagine, ma la possibilità di rileggere il binomio Evento-Rito in una prospettiva alternativa rispetto agli schemi logici in cui il problema viene analizzato ovvero la comprensione del mondo rituale profetico come stadio di spiritualizzazione avviata nei sec. VIII e VII nella lettura cultuale del profetismo.
Il profeta Geremia pone una frattura tra evento-alleanza e rito dei sacrifici e olocausti ma non riesce a ricomporre, né su un piano superiore, né sintetizzando la frattura, la dicotomia tra evento e rito. Geremia nega la validità degli olocausti e del sacrificio in base all'evento dell'alleanza, quindi il luogo della mediazione rituale non è il mondo sacrificale, ma la dimensione etica che si realizza attraverso una formula fissa nel profeta:"Se non opprimerete il forestiero, l'orfano e la vedova e se non seguirai altri dei, allora abiterete in questo luogo nella terra che diedi ai vostri padri" (Ger 7,6-7). Si crea quindi un legame profondo tra Alleanza ed etica che diviene il luogo di mediazione dell'evento scardinando il mondo rituale.
In buona parte degli studi liturgici non si è riletto, oppure è sfuggito, questo passaggio metodologico, ponendo la commensurabilità tra evento dell’alleanza e sacrificio nell’introduzione della terminologia “Fase di spiritualizzazione”.
Ma almeno in Geremia questa rilettura non è possibile. Anzi, facendo un piccolo passo avanti, si deve affermare che lo smantellamento rituale geremiano, pur se da rileggersi all'interno della deuteronomistiche-Redaktion, contraddice tutta una rilettura del mondo sacrificale in cui berit è rito. Ma facciamo piccoli passi in modo da individuare le linee di lavoro.
In un primo momento è necessario mostrare come il significante berit supponga e quindi racchiuda in sè la linguistica cultuale poiché è azione cultuale. Non si tratta quindi di vedere semplicemente se questa associazione linguistica occupi un posto centrale nell’ambito di una teologia biblica dell’Antico Testamento, ma di definire piuttosto il linguaggio preciso, diremmo quasi tecnico.
In seguito si passerà ad analizzare la separazione berit-Sacrificio, probabilmente dovuto alla formulazione o riformulazione della scuola deuteronomico-deuteronomista, per cui il sacrificio indica berit che diviene evento dell’alleanza.
Come terzo passaggio, analizzeremo l’evoluzione di questa frattura nella profezia di Geremia 7,21-22 che evidenzia come i sacrifici e gli olocausti non sono commensurabili alla categoria evento dell’alleanza, ma anzi riducono in condizione paradossale l’evento dell’alleanza tra JHWH e il suo popolo: è necessaria pertanto significativamente e teologicamente la nascita di una nuova mediazione dell'evento dell’alleanza .
Il rito non è più mediazione dell'evento, al suo posto subentra la categoria etica della giustizia.
E’ quindi opportuno soffermarsi sui dati che emergono dalla rassegna delle trattazioni dedicate al tema Evento dell’alleanza-sacrificio, per constatare anzitutto come essi siano molteplici nelle loro proposte più significative, e spieghino anche perché la recezione della problematica in campo teologico-liturgico sia caratterizzata dagli stessi termini o dalle stesse formulazioni .
3 L'evento dell'alleanza come prassi
Richiamando Prato (cfr. il suo contributo in La Creazione. Oltre l'antropocentrismo?, ATI, Padova 1993) possiamo passare in rassegna anzitutto i testi principali, distribuendoli secondo l’itinerario cronologico ideale in cui sono posti nell’arco della storia d’Israele "ripensata" nei testi dell’Antico Testamento e rilevando gli elementi che interessano il linguaggio concreto della loro formulazione.
Nell’ evento dell’alleanza «noachica» (Gen 9,1-17), il cui segno è l`arco sulle nubi, berit si estende a tutta la creazione; berit con Abramo, il cui segno sarà la circoncisione, interessa solo i discendenti del patriarca (Gen 17); sotto Mosè, essa si limiterà al solo Israele, con l`obbedienza alla legge come contropartita (Es 19,5, Es 24,78) e specialmente con l`osservanza del sabato (Es 31,16-17).
Il testo di Gen 9,1-17 si suddivide in una benedizione (vv.17) e in una berit vera e propria, che si esprime con il verbo qum al causativo e l’oggetto berit (= far sorgere una berit, cfr vv. 9.11 anche 12-13.15.17) e viene accompagnato da un segno: l’arco sulle nubi. Successivamente berit si ripresenta in Gen 15, racconto jahvista dove sono forse incorporate le prime tracce della tradizione elohista, la fede di Abramo è messa alla prova, le promesse tardano a realizzarsi. Esse sono allora rinnovate e sigillate da karat berit (= letteralmente tagliare una berit).
La promessa della terra è messa al primo posto. Nel vecchio rito di evento di berit (conosciuto anche da Ger 34,18), i contraenti passavano tra le carni sanguinanti "invocavando" la sorte riservata a queste vittime, se trasgredivano il loro impegno. Sotto il simbolo del fuoco (cf. il roveto ardente. Es 3,2; la colonna di fuoco, Es 13,21; il Sinai fumante, Es 19,18), è JHWH che passa; e passa solo, poiché berit è un rituale (cf. Gen 9,9). E`un rito solenne, sigillato da un giuramento imprecatorio (il passaggio tra gli animali divisi).
Il gesto concomitante del passaggio attraverso le parti degli animali divisi va spiegato con la prassi orientale dell’uccisione degli animali, ma bisogna tener presente che il testo forse non è molto antico e quindi non applica il gesto nel senso che esso poteva avere nella prassi orientale più antica dove, almeno in una certa fase e in qualche ambiente, era rito di minaccia.
Diverso è il modo con cui la medesima berit con Abramo si pone in Gen 17 , nuovo racconto berit di tradizione sacerdotale. Berit sigilla le stesse promesse della tradizione jahvista di Gen 15, ma questa volta impone all`uomo un rituale iscritto nella carne: la circoncisione. Si deve confrontare, della stessa fonte, l’evento dell’alleanza con Noè (Gen 9,9): la formulazione è simile, qum al causativo e berit (vv.19.21).
La circoncisione era primitivamente un rito di iniziazione al matrimonio e alla vita del gruppo familiare (Gen 34,14 s, Es 4,24-26, Lv 19,23). Essa diviene qui un «segno», che richiamerà a Dio (come l`arco sulle nubi:cfr Gen 9,16-17) l'evento berit, e all`uomo l'elemento rituale come berit nella carne. Però, le leggi fanno solo due allusioni a questa prescrizione (Es 12,44, Lv 12,3; cf. Gs 5,28). Assai più complessa è l'evento-berit della tappa seguente, quella sinaitica (Es 24,1-11), che va inquadrata nell’insieme della teofania (Es 19,9-25), preceduta da una promessa (19,18), e delle leggi inserite in posizione intermedia (20,1-23.32 con il decalogo posto in rilievo all’inizio: 20,1-17): vanno tenuti presenti i gesti che accompagnano la stipulazione in 24,38 (prescindendo dai vv. 12 e 9-11, che parlano invece di un banchetto), i quali tuttavia sono di difficile spiegazione: si scrivono le parole (v.4), si erige un altare con 12 pietre (vv.45) e soprattutto si versa del sangue su questo altare (v.6) e sul popolo (v.8).
Sembrerebbe evidente che uno stesso sangue, unendo assieme altare e popolo, simbolizzi una comunione di vita tra Dio e la controparte, ma se si tiene presente che difficilmente l’altare può rappresentare JHWH, la duplice aspersione potrebbe avere significati diversi: in via ipotetica e in alternativa, si potrebbe pensare che quella dell’altare richiami il rituale praticato nei sacrifici di comunione, qui nominati al v.5 (cfr. Lev 7,11-14 e 3,2.8.13), e il versamento sul popolo rispecchi e adatti l’uso del sangue previsto per la consacrazione sacerdotale (cfr. 21,20-21; Lev 8,24.30) oppure sancisca solo il fatto che il popolo è divenuto proprietà di JHWH, come è promesso in 19,38.
Non basta quindi vedere nel sangue un simbolo di vita, poiché proprio tale simbolo nella prassi orientale assume un significato diverso, quello di minaccia verso chi è infedele agli obblighi imposti con la stipulazione. Forse anche qui l’Antico Testamento non adotta rigidamente l’uso orientale e il corrispettivo significato, ma il problema di un confronto rimane tutto legittimo. L'evento berit successivo, presentato come un rinnovamento di quello sinaitico, è in Es 34, dove ricompare con insistenza l’espressione karat berit (vv. 10.12.15.27) e si parla ancora di un obbligo imposto al popolo (ai vv. 14-26 è inserito il cosiddetto “decalogo jahwista”).
Dal punto di vista della critica letteraria, i cc 32-34 combinano le tradizioni jahvista ed elohista in modo che è quasi impossibile distinguerle nel dettaglio. Presentano l'evento berit jahvista di Es 34 come un rinnovamento dell’alleanza elohista di Es 24, che è stata rotta da una ribellione di Israele. Si può pensare che questa sistemazione sia artificiale e che l`episodio del vitello d`oro sia stato messo in questo posto per separare i due racconti dell’evento dell’alleanza e permettere di conservarli.
Dalla raccolta di questi dati, comprendiamo che il grande binomio berit-rito vive in uno stesso campo semantico. La creazione, la carne dell'uomo e la circoncisione sono gli elementi rituali di questa prassi-alleanza.
4 L'evento Berit
Procedendo oltre si giunge al libro del Deuteronomio e subito dalla lettura dei testi notiamo una rivoluzione copernicana che sconvolge notevolmente il grande legame rito=berit.
Il Deuteronomio crea una nuova funzione: rito ≠ berit cioè l'alleanza diviene evento e il rito è il luogo della mediazione dell'evento. Ma seguiamo le linee di lettura. Il Deuteronomio nella sua configurazione attuale si presta ad essere analizzato come un grande testo di Evento dell’alleanza, con un corpo di leggi nella sua parte centrale (capp.12-26), precedute da una grande sezione introduttiva in parenesi ( capp.1-11) e seguite da un ampia serie di benedizioni e maledizioni (capp. 27-28); una formula di evento dell’alleanza abbastanza estesa si trova in 26,16-19 (mentre in 28,69 ricompare l’espressione Karat berit).
Subito dopo l’insediamento nella terra, Gs 24 presenta l’evento dell’alleanza tra JHWH e il suo popolo con la mediazione di Giosuè nella grande assemblea di Sichem, in un testo che sviluppa più ampiamente il ricordo degli antecedenti storici(vv. 2-13); l’espressione karat berit trova qui un’applicazione singolare avendo come soggetto Giosuè stesso e come destinatario il popolo (v.25). "Voi siete testimoni contro voi stessi": è la firma che Giosuè pone in calce al giuramento dell’assemblea di Sichem, solenne rilancio del patto sinaitico (Giosuè 24, 22).
I redattori e gli storici "deuteronomisti", che rielaborano tutto il materiale di quelli che lo precedono, dandogli la forma con cui ci sono pervenuti, già conoscono la minaccia babilonese e ben sanno che persino un israelita può essere tentato di preferire la schiavitù alla libertà:altrimenti perché mai avrebbero conservato memoria della legge che ordina di marchiare all’orecchio, davanti a Dio e col segno infamante della schiavitù perenne, l’ebreo che rifiuta la libertà nell’anno sabbatico ? (Es 21,56 e Dt 15,16-17) se non perché è l’orecchio che ha ascoltato l’annuncio del Sinai e perché la rinuncia alla libertà è una vera e propria abiura, un vero e proprio rifiuto della manifestazione storica della volontà creatrice e redentrice di JHWH?
E’ tipico della grande rilettura del Deuteronomio, parlare dell’esperienza di fede degli ebrei attraverso il richiamo alle vicende dell’Esodo e in particolare all’uscita dall’Egitto.
Nessun altro evento ha tale rilievo nella scuola deuteronomico-deuteronomista, perché nessun altro è, come questo, sentito ultimativo. Ne va della vita o della morte dei protagonisti; ne va dell’esistenza stessa del libro e, perché no, del suo lettore.
La stessa densità della fusione, però, il modo articolato e sapiente in cui esse si intrecciano, si ripetono, si richiamano, si correggono o si confermano, per chiudersi alla fine come un’unità molteplice ma consonante, ci segnala che la loro costruzione finale segue un filo ideale più che storico, costruisce una evento dell’alleanza –documento e non una evento dell’alleanza-prassi.
5 Verso una conclusione: la modellizzazione del sacrificio spirituale
Geremia compie una sontuosa operazione metodologica.
Negando la validità dei sacrifici ed olocausti come luogo di mediazione dell'evento, deve ricercare una nuova via di ripresentazione dell'evento. Proprio dalla stesura dell'intero capitolo settimo notiamo che il profeta cerca di creare un binomio tra Evento e modellizzazione spirituale.
Del resto chiunque può rendersi conto che i libri profetici, quando denunciano le cadute e ricadute del popolo nell’idolatria e lanciano parole di fuoco contro l’abitudine degli ebrei dell’età post-davidica a mescolare il sacrificio del Tempio a JHWH con quello a Baal e Astarte, non segnalano tanto la corruzione del monoteismo mosaico, quanto la difficoltà dell’affermarsi e il persistere di Israele nell’antico evento dell’alleanza rituale comune ai popoli della "mezzaluna fertile".
L’insegnamento del Deutero-Isaia sull’universalità di JHWH, Dio nazionale di Israele, creatore dei cieli e della terra, Signore di tutti i popoli, e sull’irrazionalità dei culti idolatrici, insegnamento che sta alla base della stesura finale del Pentateuco, nasce in Babilonia non come semplice recupero di verità antiche, ma come esplosione di una modellizzazione della fase di spiritualizzazione cultuale, frutto di una profonda e radicale rielaborazione degli insegnamenti della tradizione .
Prenderne atto non è poca cosa, anche perché ci consente di chiarire, tra l’altro, il valore di modello idealtypico-spirituale della dicotomia rito-Evento presente in Ger 7,1-28.
Il che ci consente alcune riflessioni. La prima è la conferma della lentezza e della difficoltà con cui il con cui il monoteismo si afferma in Israele. La seconda riguarda la possibilità che in Geremia emergano vie di pensiero e d’azione in profonda contraddizione con la sua stessa linea di fondo, vale a dire la possibilità e la validità dell’evento e della mediazione rituale.
Proprio perché storicamente e culturalmente intessuta col processo umano di crescita, Geremia può imboccare strade senza uscita. Proprio per salvare la dimensione dell'Evento e nel contempo il radicamento di fede a Jhwh, Geremia trova nella fase di spiritualizzazione l'unica via di salvezza dell'evento. Scardina completamente la mediazione rituale poiché la vede strettamente implicata con il mondo rituale dei culti a Baal.
Dietro la formula : " In verità io non parlai né diedi comandi sull'olocausto e sul sacrificio ai vostri padri quando li feci uscire dall'Egitto" (Ger 7,22), il profeta Geremia edifica una visione e una lettura alternativa del sacrificio, una comprensione rituale che esula dalla mondo sacrificale dell'A.T. e che sfocia in una modellizzazione idealtypica spirituale in cui il sacrificio non scaturisce più dagli elementi cruenti.
In effetti è proprio questa chiave di lettura che ricostruisce in modo alter-nativo la stessa prassi sacrificale veterotestamentaria aprendo una nuova modellizzazione spirituale tra Parola Rivelata e prassi sacrificale.
Si può trovare qualche difficoltà a cogliere l’importanza di questa lettura della realtà e a darle il suo valore appassionante di testimonianza e di messaggio, ma resta il fatto che è un meccanismo spontaneo, immediato che, con un profondo sorriso interiore, permette di poter individuare l’avvincente e intrigante costruzione del sacrificio spirituale.
Note
(1) E.W. THOMPSON, The Book of Jeremiah, (NICOT), Grand Rapids 1980; J.BRIGHT, Jeremiah (AB. 21), New York 1965; E.W.NICHOLSON, Jeremiah 1-25 (CBC) Cambridge 1973; cfr. spec. NICHOLSON , Jeremiah 1-25 , pp.456. Notare, in particolar modo, la prospettiva redazionale geremiana con il testo di Dt 10,12-22. cfr. anche VOLZ P.,False prophets, in Enciclopaedia Biblica III, London 1902, 3874; KONIG E., On the Meaning and Scope of Jeremiah 7.22-23, in “ The Expositor” 6 (1902) pp. 135-154. La questione è stata affrontata da SCHEFFLER E., The holistic historical background against which Jeremiah 7,1-15, in “OTEssays” (1994) 381-395, STACHEL G., “Sta in porta domus Domini et loquere verbum”, die Predigt 19 Eckarts und der Spruch Jeremia 7,2, in “GeistL” (1990), 405-426, TOV E.,Some aspects of the textual and Literary History of tha Book of Jeremias, in Aa.Vv, Le livres de Jérémie, BETL, LIV, Leuven 1981, S.E.BALENTINE,The prophet as Intercessor, A Reassement, in “JBL” 103 (1984), pp. 161-173, HOLLADY W.L.,The background of Jeremiah’s Self-Understanding, in “JBL” 83 (1964), pp. 153164.(2) CASPARI W., Jeremia und der Priesterkodex, in TBL 3 (1924), pp. 66-67; KONIG E., On the Meaning and Scope of jeremiah 7,22-23, in “ The Expositor” 6 (1902), pp. 208-218; VOLZ P., “False” prophets, in Enciclopaedia Biblica III , London 1902, 3874 ss. (3) AGUILERA A., La formula “ templo de Jahvé, templo de Jahvé, templo de Jahvé” en Jr 7,4,in “ EstBib” 47 (1989), pp. 319-342. (4) W. ROBERTSON SMITH, Lectures on the Religion of the Semites: the Fundamental Institutions, Black, Edinburgh 18942, soprattutto alle pp. 269 e ss. (5) Ivi, cit.,p. 240. (6) Ivi, cit. pp. 269-289. (7) Ivi, cit. pp. 318-319 (nota 2). (8) J.G. FRAZER, Il ramo d’oro, Boringhieri, Torino 19882, pp. 344 e ss. (9) A.N.TERRIN, Il pasto sacrificale nella storia comparata delle religioni, in S.UBBIALI (ed.), Il sacrificio evento e rito, Edizioni Messaggero, Padova 1998, cit. p. 298. (10) ROBERTSON SMITH, The religion of the Semites,pp. 372-390.409. (11)Ivi, cit. pp. 397-398. (12)Ivi, cit. pp. 318-319. (13) F.VAN DIJK HEMMES , On Reading Prophetics Textes, Gender-Specific and Related Studies in Memory of Fokkelien van Dijk Hemmers, Bibl. Interp. 18, Leiden 1996. (14)Cfr. T.SEIDL, Jeremias Tempelrede. Polemik gegen die joschijanische reform? Die Paralleltradition Jer 7 und 26 auf ihre Effizienz fur das Deuteronomismusproblem in Jeremia befragt, in GROSS WALTER, Jeremiah und die “deuteronomistische Bewegung”, BBB 98, Weinheim 1995. (15) Seguiamo la versione LXX che omette: “ Dice il Signore degli eserciti, Dio d’Israele”glossa espansionistica in M. (16)Leggendo con il qere’ letteralmente. “ giorno della mia uscita con loro”; con il ketib: “giorno di uscita con loro”.(17) Omesso in LXX. Risulta un’intrusione nel testo masoretico di Sal 81,13. (18)Lectio difficilior: M wayeu , altri manoscritti wayelko. (19)L’intero versetto è omesso in LXX. (20)Omesso in LXX.
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